Articolo dal giornale AAM Terra Nuova, primavera 2006
Da Milano alla Val di Taro: storia della lenta ma “inesorabile” realizzazione di una piccola utopia concreta.
Milano, fine anni ottanta e un gruppo di ventenni desiderosi di dare il loro contributo alla “salvezza” del pianeta. Già attivi nel campo della solidarietà, decidono di trapiantare i loro sogni in contesto rurale. Dopo un paio d’anni di scouting per tutto l’Appennino, la scelta cade su un vecchio borgo in sasso, abbandonato da una ventina d’anni, nel Comune di Valmozzola in Val di Taro.
I grandi ideali giovanili si scontrano con mille difficoltà. Ma non soccombono e si trasformano in un progetto pragmatico, che non ha dimenticato le sue radici utopiche.
Esperimenti in autocostruzione
“Nessuno di noi è figlio di muratori, contadini o falegnami e ciò naturalmente non ci ha agevolato”, ci dice Giovanni, illustrandoci i lavori di ristrutturazione del borgo, otto case in tutto tra Granara di sopra e Granara di sotto, immerse tra vasti pascoli a 600 metri sul livello del mare. La bioedilizia e il risparmio energetico sono sempre stati la linea guida, seppure non il dogma. Gabinetti a compostaggio a secco, riscaldamenti che integrano la legna con i pannelli solari, una casa in terra e paglia in via di realizzazione: fin dall’inizio la parola d’ordine è stata “autoapprendimento” e “autocostruzione”: “Ci sembrava una scelta ideale, ma a ben guardare è stata anche una necessità economica”.
Dopo ben 13 anni di lavori si comprende l’orgoglio con il quale gli abitanti ci parlano dei loro bagni, piuttosto che degli infissi autocostruiti o della muratura in sasso, puntualizzando l’importanza del riappropriarsi del konw-how, di quel bagaglio di conoscenze che sempre più sfuggono all’uomo postmoderno. E proprio per fronteggiare al meglio questo aspetto che all’interno dell’associazione cui fanno riferimento i membri di Granara è nato da zero un gruppo che ha appreso l’arte della realizzazione di pannelli solari, conoscenza che oggi volentieri viene trasmessa in vari seminari teorico-pratici.
A Granara nessuno ha una visione integralista riguardo alla natura e la tecnologia è vista con grande favore quando è a misura d’uomo. E’ proprio l’aspetto sociale (come l’aiuto reciproco, il lavoro pratico e la crescita culturale collettiva) del progetto che viene messo in primo piano, concependolo come inseparabile dall’aspetto ecologico.
Consorzio, associazione, gruppi di lavoro.
Negli anni Granara è stata acquistata pezzo per pezzo dai singoli nuclei –persone singole, famiglie e gruppi d’amici-, che si sono fatti carico della ristrutturazione. Il Consorzio, organo di cui fanno parte tutti i proprietari, pianifica l’uso delle strutture comuni –tra cui una struttura per l'ospitalità in via di realizzazione- e i 100 ettari di terreno, suddivisi tra prati, boschi e un orto ad uso interno. La proprietà non è collettiva, ma la progettazione cerca di esserlo il più possibile.
Per la gestione delle attività che si svolgono nel villaggio, è stata creata una associazione, che è una sorta di “grande contenitore” di idee e progetti in cui sono attivi non solo molti proprietari, ma anche tutti coloro che negli anni si sono affiancati e sono impegnati in questa o quella attività a vario titolo: l’associazione comprende alcuni gruppi di lavoro, che rappresentano gli organi più attivi e strutturati.
E' molto attivo il gruppo Associazione Teatro Granara, promotore tra l’altro, nel periodo estivo, di un accattivante festival che, con una formula che unisce spettacoli di alto livello e laboratori, richiama ormai da diversi anni oltre un centinaio di persone da tutta Italia. Durante il festival, solitamente della durata di una settimana, gli ospiti sono invitati a portare con sé una tenda da campeggio per poter così “vivere” il villaggio, prendendo parte alle varie attività, condividendo assieme i momenti dei pasti, ma anche collaborando nella gestione quotidiana. Per queste occasioni è stato allestito nel vasto prato un grande tendone da circo.
Il gruppo di educazione ambientale (oggi Associazione Centopassi) ha dato vita, negli anni, a laboratori didattici, animazioni e soprattutto a campi estivi per bambini e ragazzi, per i quali si è creato un percorso educativo progressivo che va dall’età di 8 anni ai 18. Per i ragazzi maggiorenni si organizzano invece i campi di Servizio Civile Internazionale, unendo giovani provenienti da tutte le nazionalità.
Last but not least, il gruppo ospitalità, particolarmente attivo nel periodo estivo, avrà in futuro la gestione della "casa per gli ospiti" (denominata "Granaio").
Non è obbligatorio partecipare alle attività, ma di fatto ogni membro è impegnato in qualche settore. Oltre ai progetti già avviati, ne esistono altri in embrione, tra cui un centro di salute e medicina alternativa –una delle socie è fondatrice del centro di medicina alternativa Tai a Milano- e la creazione di un centro di documentazione sui temi aperti dall’ecologia sociale, da ospitare nella casa in terra e paglia, una volta ultimata. Si vorrebbe anche approfondire l’aspetto agricoltura biologica, che, per motivi contingenti, è stata finora trascurata. Ma per tutto questo si aspetta di chiudere gli ultimi cantieri. Autoapprendimento e autocostruzione, si sa, sono investimenti umani che se da un lato senz’altro appagano, dall’altro richiedono per definizione il lungo periodo.
“Granara non è una grande comune”, ci tiene a precisare Giovanni, “ma nel villaggio in realtà si crea comunità; a volte deliberatamente a volte inconsapevolmente le vite di ciascuno di noi si intrecciano.” A Granara il privato e il collettivo hanno un equilibrio non imposto a priori, lasciando spazio sia per chi vuole condividere tutto, sia per chi vuole condividere poco.“E’ piacevole stare assieme, mangiare tutti assieme, condividere il lavoro quando lo vogliamo veramente, e nello stesso tempo avere il proprio spazio privato, la propria casa. Non esiste una economia comune, ma anche le nostre vite lavorative si stanno connettendo sempre di più.”
Ogni membro vive Granara a modo proprio. La maggior parte non vi risiede stabilmente. Oltre allo zoccolo duro dei pochi già residenti, alcuni hanno in progetto di trasferirsi entro pochi anni, altri, soprattutto per motivi di lavoro, non ritengono verosimile l’idea di un trasferimento stabile. Ciò che l’ecovillaggio costituisce, per ognuno, è soprattutto la fisicità e la simbolicità di un luogo aperto alla sperimentazione, nei sensi più vari.
Nella rete, urbana e locale
Granara si inserisce in una variegata rete che la vede dialogare con realtà autoctone sorte negli anni nelle zone limitrofe ad opera di cittadini “ruralizzati” –per lo più milanesi- e con altre attività di impegno sociale tra cui la cooperativa milanese Alekoslab, un negozio di prodotti biologici e solidali a Pontremoli (Associazione Liberamente), un gruppo di acquisto solidale, la libreria per ragazzi “Libri e formiche” a Parma, e il centro di salute e medicina naturale “Tai” a Milano. In molte di queste realtà sono coinvolti personalmente gli stessi membri di Granara. Negli anni la rete ha acquisito via via importanza e ha contribuito a dare senso al progetto. Gli scambi sono di varia natura e talvolta costituiscono supporto fisico nella concretezza dei lavori –come nel caso della vicina Fattoria Macinarsi.
Importante si rivela anche il contatto, faticosamente guadagnato, con le persone anziane che vivono nella zona e con gli enti locali.
I membri di Granara sono tutti transfughi della città, ma anche su questo punto non c’è alcuna posizione di netto rifiuto. La città è vista come luogo di mille stimoli culturali e la scelta della campagna si accompagna con la consapevolezza della necessità di una integrazione con la dimensione urbana.
Parola d’ordine: lentezza!
Alla mia, volutamente pretenziosa, richiesta di qualche illuminante suggerimento per la buona riuscita di simili progetti di ecovillaggio, Giovanni non si vuole sbilanciare. Di consigli non ne vuole dare. “Ogni realtà ha la sua storia, ogni gruppo fa da sé. Problemi, anche contrasti, ce ne sono; non esiste nessuna isola felice, ma ciò che finora ci ha mantenuto in carreggiata è stata paradossalmente proprio la lentezza, da una parte desiderata ma anche maledettamente inevitabile, nella realizzazione materiale ed umana del progetto.” L’ampio respiro, i tempi lunghi, hanno permesso grossi investimenti –concreti e valoriali- nei diversi settori, in modo diluito. La lentezza quindi si è dimostrata un punto debole, ma a sorpresa anche punto di forza del progetto.
Dell’iniziale decina di giovani idealisti, di fatto nessuno se ne è andato. Altri se ne sono aggiunti. E da qualche anno ormai una dozzina di bambini stanno progressivamente influenzando, direttamente ed indirettamente, l’evoluzione di questo piccolo, anomalo agglomerato di case sull’Appennino tosco-emiliano: un luogo dove i sogni sono ancora possibili, ma non è obbligatorio sognare.